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Vorrei ringraziare l’Università libera di Bruxelles, gli organizzatori che mi hanno invitato a questa conferenza internazionale, dedicata alle versioni di Dante in lingue romanze. Sono contento di presentare il punto di vista dell’Europa Orientale, se si può dire così. Mi fa piacere ricordare la storia di George Coșbuc, il primo traduttore integrale della Divina Commedia in romeno, su cui mi soffermerò. Ma vorrei dare prima una piccola spiegazione, per far capire meglio la nostra situazione. Basti sottolineare che, mentre i primi documenti in lingua italiana risalgono agli anni 800 e 900, poi all’inizio del Millennio, la prima poesia di San Francesco d’Assisi è degli anni 1200, ebbene il primo documento in lingua romena è del 1521, La lettera di Neacșu (1). Abbiamo purtroppo un ritardo iniziale di 500 anni, in paragone alle realtà culturali dell’Europa Occidentale. È con questa comprensione che dovete guardare le nostre date calendaristiche, che sono più arretrate di quello che hanno presentato oggi i distinti colleghi, rispettivamente alle loro culture. I punti di partenza sono molto distinti. Ma quello d’arrivo non è per niente inferiore ormai, soprattutto se esaminato oggi.

Tra i primi traduttori parziali della Divina Commedia in romeno ci fu Ion Heliade-Rădulescu, che traspose i primi cinque canti dell’Inferno, intorno al 1848. Lo saprete senz’altro che Dante godette di un nuovo successo tra i lettori italiani con il Romanticismo e il Risorgimento, dopo essere stato per un periodo trascurato ahimè dalla storia letteraria. Però con i romantici Dante tornò agli occhi del pubblico e fu questo anche il motivo dell’attenzione che la cultura romena gli rivolse, mentre cercava un suo aggiornamento con l’Occidente. Si devono ricordare poi le traduzioni casuali, di un canto o due, con la misura di 16 sillabe, senza rime, che realizzò Gheorghe Asachi nel 1865. Aron Densusianu tradusse il canto III dell’Inferno, il canto XXVIII del Purgatorio e il canto XXIII del Paradiso in versi di 13 e 14 sillabe, con due rime, invece di tre. Altri traduttori, verso la fine del XIX secolo, furono I. Drăgescu, C.Z. Buzdugan, Gr. Sc. Grădișteanu. Poi, a Craiova, la signora Maria P. Chițiu tradusse in prosa l’Inferno (1883) e il Purgatorio (1888) (2). Il testo romeno aveva a piè di pagina l’originale italiano. L’Inferno includeva brevi note con spiegazioni; il Purgatorio era accompagnato da commenti più elaborati. La traduttrice insisteva sulla fedeltà nei confronti dell’originale, ma usava anche espressioni inabili, inadatte al romeno. Il col. G. Boteanu traspose in prosa l’Inferno I-XII, che fece pubblicare sulla Revista literară di Bucarest tra 1893-1894. Nicu Gane tradusse in versi i canti I-VII dell’Inferno, che pubblicò sulla rivista Convorbiri literare nel 1882; proseguì con gli altri 27 canti infernali, fino al 1905, seppure con diversi problemi di traduzione, di interpretazione e di versificazione (3). In questo contesto arrivò George Coșbuc.

Vorrei fare un rapido accenno alle traduzioni integrali della Divina Commedia che, ai nostri giorni, si ritrovano nella cultura romena. La primissima, su cui mi soffermerò fra poco, è appunto quella di Coșbuc, uscita dopo la sua morte, negli anni 1924, 1927 e 1932 (4). Un’altra versione completa è quella di Alexandru Marcu, docente di letteratura italiana presso l’Università di Bucarest, che tradusse Dante in prosa per ragioni didattiche. La sua versione fu pubblicata in tre volumi, negli anni 1932, 1933, 1934 (5). Poi abbiamo due storie parallele, di due traduttori che lavorarono ciascuno per conto proprio, senza conoscersi tra di loro. Ion Țundrea tradusse con grande fedeltà, in terzine, con endecasillabo, in terza rima, tutta la Divina Commedia, tra gli anni ’30 e ’40 dello scorso secolo. Era medico militare, morì purtroppo alla fine della seconda guerra mondiale e il suo lavoro completo, dopo l’uscita dell’Inferno nel 1945, venne pubblicato solo nel 1999, a distanza di mezzo secolo, con la Casa Editrice Medicală, abituata piuttosto ai problemi di medicina (invece qui l’unico problema di salute spettava alla cultura romena, che aveva spinto una traduzione dantesca all’esilio tipografico per cinquant’anni) (6). Un’altra storia, altrettanto interessante, è di un italiano, Giuseppe Cifarelli, con lo stesso destino, egli compì una traduzione completa in terzine, in endecasillabo e con la terza rima, di grandissima fedeltà, scritta sempre negli anni ’30 e ’40 del Novecento. Anche questa variante fu pubblicata soltanto nel 1993 (7). Cifarelli era arrivato da bambino in Romania, dopo la morte del papà, portato dalla mamma in cerca di rifugio economico presso lo zio, sacerdote in Moldavia. Egli rimase a vivere per alcuni decenni in Romania, imparò a perfezione la nostra lingua e quindi offrì questa situazione strana, di un italiano ottimo conoscitore del romeno, che tradusse tutta la Divina Commedia, con grandissima fedeltà e anche con abilità letteraria.

E poi abbiamo la versione di Eta Boeriu, la più conosciuta nel periodo del comunismo, perché è una traduzione artistica, letteraria, ristampata spesso. La signora Boeriu è la più insigne traduttrice della letteratura italiana in lingua romena, lei traspose Boccaccio, Il Decameron, Petrarca, Il Canzoniere, Leopardi, Canti, Michelangelo, Verga, Pavese e compilò alcune antologie di storia della poesia e della commedia italiane. Tradusse anche la Divina Commedia, con grande considerazione formale, cioè rispettando la terzina, l’endecasillabo e la terza rima (8). Per quanto riguarda i significati, fu a volte meno attenta e decise anche di aggiornare il poema, a livello lessicale. Tale opzione ne fa il prodotto più discutibile, dal punto di vista filologico, ma forse rende più fruibile il testo medievale, fino al punto che, per uno spettacolo di un mese fa, al Teatro Nottara di Bucarest, ho raccomandato questa versione da rappresentare sul palcoscenico, invece di quella più fedele e più precisa di G. Coșbuc.

Devo ricordare anche la recente uscita del mio lavoro in tre volumi, Lectura lui Dante, che avrò l’opportunità di presentarvi domani, alla tavola rotonda dell’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles. Si tratta non soltanto della traduzione romena integrale del poema, ma anche di una parafrasi critica, di ogni terzina e di ogni verso, corredata di una crestomazia dell’esegesi dantesca, dal Medio Evo al Novecento (9).

Avendo fatto questo panorama, veniamo al nostro argomento. George Coșbuc nacque il 20 settembre 1866 a Hordou, che è un villaggio nella zona di Bistrița, in Transilvania. Apparteneva a una famiglia di preti greco-cattolici (come sapete, loro hanno il diritto di sposarsi e di mettere su famiglia), sia il padre che il nonno materno furono sacerdoti. Egli fece i primi studi nelle scuole della sua zona e il liceo a Năsăud, dove fu attratto dalle lingue e letterature classiche e cominciò a scrivere dei versi. Venne anche eletto presidente della società di lettura degli alunni. Manifestò un grande interesse per la letteratura latina, per il folclore romeno e per i vecchi libri. Si iscrisse alla Facoltà di Filosofia e Lettere di Cluj, nel 1884. Studiò lingua-letteratura greca e latina, sintassi, retorica, storia e filosofia antica. Due anni più tardi rimase malato e si ritirò dall’Università. Pubblicò numerose poesie con tematica popolare sui giornali del tempo e diventò redattore della Tribuna, quindi si stabilì per un periodo a Sibiu, un’altra grande città della Transilvania (1887-1889). Devo aggiungere che G. Coșbuc viene considerato oggi uno tra i più importanti poeti di stampo popolare della nostra letteratura. Compose delle poesie davvero straordinarie, era appassionato della vita contadina e, nel contesto di una corrente letteraria che metteva in risalto questo universo rurale, le sue creazioni furono lettura d’obbligo, lungo i decenni, in tutte le scuole della Romania. Il suo capolavoro si chiama Nunta Zamfirei (Le nozze di Zamfira), un poema dedicato a un momento fondamentale della vita folcloristica e riscontrò un grande successo sia a Iași che a Bucarest, le due capitali culturali romene del periodo. In questo contesto, divenuto famoso, si stabilì a Bucarest. Fu sostenuto da Titu Maiorescu, il più importante critico letterario e filosofo romeno del tempo, ma anche uomo politico di primo livello. Coșbuc diventò giornalista, insegnante, autore di libri scolastici. Uscirono i suoi più significativi libri poetici di stampo popolare, Balade și idile (Ballate e idilli), nel 1893, e Fire de tort (Fili di tessuto), nel 1896. Lavorò come funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione, una successiva tappa professionale, e nel 1916 venne eletto all’Accademia Romena. Rimase devastato dalla morte del suo figlio unico. Il 9 maggio 1918 si spense a Bucarest (10). Questo è un breve ripasso della biografia di George Coșbuc.

Ora mi riferirei alle sue traduzioni, perché oltre all’opera di poeta originale, egli è uno dei maggiori traduttori della cultura romena. Cominciò con l’Eneide, tradusse dunque dal latino e vinse con questo lavoro il Premio dell’Accademia Romena. Seguirono l’Antologia sanscrita (Rgveda, Mahabharata, Ramayana), Kalidasa, Sakuntala, Omero, Odissea, Schiller, Don Carlos e Dante, Divina Commedia. Ebbe anche una serie di oltre 500 pagine di commenti al poema dantesco, ma questo potrebbe essere l’argomento di un’altra conferenza, altrettanto interessante.

Come fece Coșbuc ad arrivare alla Divina Commedia? Suo padre, vi ricordate, era prete e un giorno, mentre il poeta era ancora molto giovane, gli chiese di raccontargli e di riassumergli alcune scene dell’Inferno, da usare la domenica durante la messa, nelle sue prediche, per impressionare i fedeli. Il giovane cominciò a leggere Dante in tedesco, perché era quella la lingua straniera che conosceva meglio al periodo. Ne rimase così affascinato che si mise a tradurre dal tedesco in romeno alcuni canti infernali. Ma poi si rese conto che non si poteva dare una traduzione valida tramite un’altra lingua. Allora iniziò da solo a studiare l’italiano, si fece portare delle grammatiche e diverse edizioni della Divina Commedia dall’Italia. Poi si organizzò, con i propri risparmi, e fece un viaggio di studio a Firenze, ai luoghi danteschi (nel museo dedicato a Coșbuc si ritrovano oggi i biglietti del tram che il poeta aveva preso attraverso la città fiorentina). Così imparò la lingua italiana e quindi riprese la sua traduzione e la portò avanti, questa volta direttamente dall’originale (11). Seguì il suo lavoro grandissimo e molto impegnativo per oltre dieci anni. Ma, mentre traduceva, rimase impensierito per diversi particolari danteschi, che voleva capire meglio. Così cominciò la redazione dei suoi commenti di oltre 500 pagine, che includono note molto personali, polemiche, monologhi furibondi contro altri dantologi ecc. Questi commenti sono discutibili, perché Coșbuc non è un critico letterario, egli è poeta e un grandissimo traduttore, però gli mancano la serenità e il distacco necessari per la valutazione oggettiva di un’opera letteraria (12). Egli morì e solo alcuni brani della sua traduzione furono stampati sulle riviste letterarie. Ma ebbe per fortuna un grande amico, con un ruolo molto importante. E mi riferisco al professor Ramiro Ortiz, colui che inaugurò lo studio dell’italiano all’università di Bucarest, ci fondò una cattedra di italiano, incoraggiò alcuni giovani – tra cui Alexandru Marcu, il secondo traduttore integrale della Commedia, George Călinescu, uno dei più importanti critici letterari romeni, nonché alcune signore e signorine, diventate insegnanti e traduttrici – a prendere questa strada dell’italianistica. Ramiro Ortiz conobbe George Coșbuc nei suoi ultimi anni di vita, al monastero di Tismana, dove entrambi passavano le vacanze d’estate, si ritiravano dal tumulto cittadino e parlavano di Dante e della poesia italiana. Così nacque una stretta amicizia e quindi, dopo la morte di Coșbuc, Ramiro Ortiz, che conosceva il valore straordinario di queste traduzioni, si ostinò a ricevere i manoscritti in vista della pubblicazione. E fu lui, il responsabile degli studi di italianistica dell’Università di Bucarest, che fece pubblicare i tre volumi, in anni diversi, man mano che si raccoglievano i soldi necessari per la stampa (13).

Qual è la peculiarità della variante di Coșbuc, in paragone alle successive quattro traduzioni complete della Divina Commedia? La fedeltà! La straordinaria conoscenza dell’originale e delle sfumature che Dante voleva trasmettere. Una sensibilità artistica squisita. E anche una tecnica poetica meravigliosa: Coșbuc passa per uno tra i più importanti stilisti della poesia romena, con un grande rispetto per la rima e per le misure del verso. Avendo tutti questi antecedenti, egli seguì in modo stretto e ispirato l’originale dantesco e se aggiungiamo che si trattava anche della sua passione di una vita, si può facilmente capire il suo entusiasmo. Vorrei offrire, in quanto segue, degli esempi tratti dall’Inferno, dal Purgatorio e dal Paradiso, così possiamo farci un’opinione diretta. Abbiamo un brano di grande intensità emozionale, uno dei momenti più terribili, quando il viaggiatore Dante incontra Lucifero, al fondo dell’Inferno:

“Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo,
però ch’ogni parlar sarebbe poco.
Io non mori’ e non rimasi vivo:
pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno,
qual io divenni, d’uno e d’altro privo.”
(Inf. XXXIV, 22-27)

E la versione di Coșbuc:

“De-a mea și mută și-nghețată stare
să nu mă-ntrebi acum și nici n-o scriu,
căci nu-i cuvînt să poată spune-atare.
Eu n-am murit, dar n-am rămas nici viu,
socoți, de ai vrun strop de duh în tine,
ce-am fost cînd fui cum n-aș mai vrea să fiu.”

Una trasposizione davvero speciale, lo posso dire sia da traduttore che da critico letterario. Ecco alcuni elementi di conferma. Nel primo verso citato vediamo due epiteti, gelato e fioco, li ritroviamo anche nella variante romena: mută și-înghețată. L’appello rivolto al pubblico, nol dimandar, lettor, c’è anche in romeno: să nu mă-ntrebi. C’è questa meravigliosa antitesi io non morii e non rimasi vivo, riprodotta con grande fedeltà: n-am murit, dar n-am rămas nici viu. E poi il traduttore riesce addirittura a superare la complessità dell’originale, quando prende l’unico verbo italiano, qual io divenni, d’uno e d’altro privo e lo traspone in un bellissimo gioco di parole, con tre forme flessionali dello stesso verbo “essere”, usato al passato prossimo, al passato remoto e al congiuntivo presente: ce-am fost cînd fui cum n-aș mai vrea să fiu. Così edifica anche una mirabile allitterazione. Lo sapete senz’altro che una soluzione dei traduttori è di andare in parallelo al testo di partenza. Ci sono però situazioni quando non ci possiamo alzare al livello dell’originale, per motivi concreti, perché la lingua d’arrivo non ce lo consente. E allora rimaniamo per forza “più giù” con la nostra versione. Ma poi ci saranno altri momenti, quando dobbiamo prenderci la rivincita e superare l’originale. Così si fa per avere una traduzione “alla pari”, dal punto di vista del valore letterario. A volte siamo superati dall’originale, ma altre volte lo dobbiamo superare noi. Ed ecco un brano in cui Coșbuc riesce a sconfiggere le sfide estetiche del testo dantesco, aggiungendo un gioco di parole di grande intelligenza grammaticale, là dove questo artificio non c’era in italiano.

Un altro punto di grande valore e prestigio del poeta Coșbuc è quello di descrizione della natura. Nel successivo esempio del Purgatorio, Dante ne fa una descrizione di tipo funzionale, tecnico:

“L’alba vinceva l’ora mattutina
che fuggìa innanzi, sì che di lontano
conobbi il tremolar della marina.”
(Pg. I, 115-117)

Dante non è un autore che scommette tanto sulla natura. Non sono io ad aver notato per la prima volta che la natura aiuta l’autore medievale a potenziare, a sottolineare il conflitto, il drammatismo della situazione. Invece Coșbuc, che è appassionato, affascinato dalla natura, costruisce davvero un quadro mirifico.

“Amurgu-nvins de-a zorilor lumină
pierea fugind, așa că-n depărtare
vedeam și marea cea de tremur plină.”

Si può verificare l’endecasillabo, è tutto rispettato. Si può verificare la terza rima, è sempre inclusa. E poi c’è anche questa emozione lirica più grande, potrei considerare, nella traduzione, che non nella versione originale. Andiamo avanti con un altro esempio del Paradiso.

“Ond’ella, che vedea me sì com’io,
a quietarmi l’animo commosso,
pria ch’io a dimandar, la bocca aprìo
e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l’avessi scosso».”
(Par. I, 85-90)

È un momento all’inizio del volo nel terzo regno, quando Beatrice rimprovera a Dante che non capisce le nuove cose come dovrebbe farlo. E vediamo la traduzione in romeno:

“Dar Ea, ce mă vedea ca eu pe mine,
deschise gura, pîn-a n-o-ntreba,
zbătutul suflet vrînd să mi-l aline,
și-a zis: «Prin false-nchipuiri părerea ta
te-orbește așa că-ți par ca nevăzute
ce-ar fi să vezi, cînd nu le-ai asculta».”

Abbiamo qui una situazione tipica della nostra grammatica. Nella costruzione vedea me sì com’io, il pronome personale italiano si può esprimere solo due volte, mentre il romeno ci permette anche la terza ripresa: vedea ca eu pe mine, perché la nostra lingua consente, accanto allo stesso verbo, l’uso del pronome personale alla forma sia tonica che atona. E il poeta romeno, che conosce a meraviglia ciò che ha da fare, mette subito in pratica artistica questa particolarità grammaticale.

Non vorrei ritenere troppo la vostra attenzione con George Coșbuc e la straordinaria fedeltà della sua traduzione, la sua meravigliosa performance culturale. Ecco un ultimo esempio, una situazione piuttosto aggrovigliata in Dante, tanto discussa dagli specialisti, quando l’autore vuole esprimere il numero molto grande, infinito, di angeli dell’Empireo. A differenza della teologia medievale, che riteneva un numero limitato di angeli, Dante nota che:

“L’incendio suo seguiva ogni scintilla;
ed eran tante, che ‘l numero loro
più che ‘l doppiar delli scacchi s’immilla.”
(Par. XXVIII, 91-93)

C’è stato un dibattito intorno all’espressione complessa il doppiar delli scacchi, riferito all’infinità degli angeli. Ma oltre alle discussioni del campo filosofico e teologico, a noi interessa adesso la soluzione linguistica, la traduzione di questo brano di intensa difficoltà poetica. E il poeta romeno trova un’ottima soluzione:

“Și-oricare foc un roi făcea-și cărarea
și-atîtea-au fost că roiurile-n zbor
întrec la șah de mii de ori dublarea!”

Ci sono “gli scacchi”, c’è l’aumentativo con “migliaia di volte”, c’è “il doppiar”, c’è perfino questa ambiguità dell’espressione dantesca, che mette il lettore in difficoltà. Ritroviamo nella traduzione romena tutti gli elementi semantici e artistici dell’originale. Sapete che il rischio di una traduzione di bassa qualità è che diventi troppo esplicita. Ma Coșbuc non cade in questa trappola e, mantenendo l’ambiguità semantica dell’espressione originale, sta dimostrando la sua grande acuità.

Il lavoro di George Coșbuc fu accolto con parole calorose, dopo la pubblicazione in tre volumi. Tra le reazioni del tempo, il professor Ramiro Ortiz, grande amico e specialista, ne sottolineò il valore: “Dante si presenterà al pubblico romeno così com’è: gigante, aspro, severo, pieno di pensieri elevati, filosofici e teologici, qua e là enigmatico e oscuro; ma nessun popolo, tranne forse quello tedesco, si potrà vantare di una simile traduzione, in cui il colore del pensiero e dell’arte di Dante sia espresso in un modo così meraviglioso (fino ai più piccoli particolari), come il popolo romeno, che ha dato vita a George Coșbuc” (14). Si tratta di un contesto un po’ enfatico, certo, un discorso alla commemorazione dei 600 anni della morte del sommo poeta, ma anche un grande entusiasmo, che esprime le convinzioni personali del parlante.

Poi ci furono i punti di vista di alcuni scrittori contemporanei al traduttore. Secondo Constantin Ionescu, “è un’opera che farà impossibile per molto tempo l’apparizione di un’altra traduzione” (15). Invece per Emanoil Bucuța, “forse ci saranno traduzioni più brillanti e più melodiose di quella romena realizzata da Coșbuc, ma sarebbe difficile trovarne una più fedele e più nello spirito dell’originale” (16). Un giudizio che condivido pienamente. Il noto critico stilista della letteratura romena, Tudor Vianu, ma anche grande amico del traduttore, sottolineò che “George Coșbuc non solo ha riprodotto con grande fedeltà le costruzioni dell’originale, ma ha cercato di avvicinarsi al suo lessico e perfino al suo timbro” (17). Ci sarebbe da ritenere anche l’opinione di un rilevante italianista romeno della seconda metà del Novecento, Alexandru Balaci: “la plasticità e il vigore dantesco furono espressi dal poeta romeno con una rara destrezza, trasformando la sua versione in una delle migliori traduzioni della Divina Commedia al mondo” (18).

Si devono ricordare qui anche le inevitabili riserve. Ovid Densusianu, l’autore del primo corso accademico su Dante Alighieri in una università romena, manifestò comunque i suoi limiti e sostenne che fosse preferibile la traduzione in prosa del poema, per una giusta comprensione; la traduzione in versi sarebbe stata “un’inutile audacia” (19). Il tempo dimostrò che aveva torto. Uno spirito enciclopedico, Nicolae Iorga, autore di centinaia di libri di storia, filosofia e letteratura, fu anche un uomo politico di prima importanza dell’epoca. Ma il suo carattere non lo raccomandava per niente ai ragionamenti sereni, come persona che non andava d’accordo con gli altri, e anzi appena qualcuno diventava un po’ più conosciuto, si impegnava subito a stroncarlo e a bloccare la sua carriera. Così il noto storico ritenne che la traduzione di Coșbuc fosse purtroppo un insuccesso: “dovremo dire che neanche questa volta Dante è entrato veramente nella nostra letteratura” (20). Ma visto che Nicolae Iorga aveva stroncato anche Blaga, Lovinescu, Călinescu, Arghezi e tutti gli altri spiriti eccelsi della cultura romena, possiamo limitare questo giudizio al suo valore contestuale.

Tra le reazioni italiane, ci fu quella di Carlo Tagliavini, che parlava di Coșbuc come di un “traduttore valente” (1921) e quella di Rosa Del Conte, docente universitaria per molti anni in Romania, a Cluj e a Bucarest, ottima conoscente della lingua e della cultura romene. In riferimento alla Divina Commedia, lei affermò che “sul piano delle traduzioni, la Romania attinge il vertice del capolavoro con la versione di G. Coșbuc” (1965) (21).

Il mio intervento si è proposto di far conoscere al pubblico occidentale una zona culturale forse insolita dell’Europa orientale. Ho voluto offrire un breve panorama delle traduzioni romene della Divina Commedia, nell’Ottocento e nel Novecento. Mi sono proposto di evocare alcuni momenti salienti della biografia di George Coșbuc e della sua attività come poeta popolare, ma soprattutto di presentare e di dare un giudizio professionale sulla sua opera di traduttore del poema dantesco. Ho cercato di dimostrare, con alcuni esempi e argomenti, che quella di Coșbuc è non soltanto la prima traduzione artistica integrale, ma filologicamente anche la più valida versione romena della Divina Commedia.

Note:

(1) Nicolae Manolescu, Istoria critică a literaturii române. 5 secole de literatură, seconda edizione riveduta, Bucarest, Ed. Cartea Românească, 2019, p. 42.

(2) Vedi Titus Pârvulescu & Dumitru D. Panaitescu, Dante în România, in Studii despre Dante, Bucarest, Editura pentru Literatură Universală, 1965, p. 351-362.

(3) Ibidem, p. 362-365.

(4) Divina Comedie a lui Dante, tradusă de G. Coșbuc și comentată de Ramiro Ortiz, vol. 1, Infernul, București, Cartea Românească, 1924; vol. 2, Purgatoriul, București, Cartea Românească, 1927; vol. 3, Paradisul, București, Cartea Românească, 1932.

(5) Dante, Infernul, tradus de Alexandru Marcu, ilustrat de Mac Constantinescu, editat de Scrisul Românesc, Craiova, 1932; Dante, Purgatoriul, tradus de Alexandru Marcu, ilustrat de Mac Constantinescu, editat de Scrisul Românesc, Craiova, 1933; Dante, Paradisul, tradus de Alexandru Marcu, ilustrat de Mac Constantinescu, editat de Scrisul Românesc, Craiova, 1934.

(6) Dante Alighieri, Divina Comedie. Infernul, Purgatoriul, Paradisul, 3 volume, traducere în versuri de Ion A. Ţundrea, prefaţă de N. Iorga, Bucureşti, Editura Medicală, 1999.

(7) Dante Alighieri, Divina Comedie, în româneşte de Giuseppe Cifarelli, cuvînt înainte de Alexandru Ciorănescu, îngrijire de ediţie, note şi comentarii de Titus Pârvulescu, Craiova, Ed. Europa, 1993.

(8) Tra le numerose edizioni, vedi per esempio Dante Alighieri, Divina Comedie. Infernul, Purgatoriul, Paradisul, 3 volume, în româneşte de Eta Boeriu, studiu introductiv, tabel cronologic, note şi comentarii de Alexandru Balaci, Bucureşti, Ed. Minerva, Col. Biblioteca pentru toţi, 1982.

(9) Laszlo Alexandru, Lectura lui Dante, 3 volume, Chișinău, Editura Cartier, 2020, 624 + 664 + 680 p.

(10) Dati ricavati dalla sintesi di G. Călinescu, G. Coșbuc, in Istoria literaturii române de la origini pînă în prezent, seconda edizione, riveduta e aumentata, edizione e prefazione di Al. Piru, București, Ed. Minerva, 1982, p. 583-590.

(11) Racconto “autobiografico” attribuito da Ramiro Ortiz a George Coșbuc, nel suo ampio studio introduttivo all’edizione Dante Alighieri, Divina Comedie. Infernul, Purgatoriul, Paradisul, în traducerea lui George Coşbuc, ediţie îngrijită şi comentată de Ramiro Ortiz, Iaşi, Ed. Polirom, 2000, p. 56-59.

(12) Vedi George Coșbuc, Comentarii la “Divina Comedie”, prefazione di Laszlo Alexandru, introduzione di Ovidiu Pecican, vol. I-II, Cluj-Napoca, Editura Eikon, 2007.

(13) Vedi l’introduzione di Ramiro Ortiz ai tre volumi tradotti da G. Coșbuc, ora più accessibili nella ristampa in volume unico a Iași, Polirom, 2000, ed. cit.

(14) Titus Pârvulescu & Dumitru D. Panaitescu, Dante în România, ed. cit, p. 368-369.

(15) Idem, ibidem, p. 369.

(16) Idem, ibidem, p. 369.

(17) Idem, ibidem, p. 369.

(18) Idem, ibidem, p. 369.

(19) Idem, ibidem, p. 370.

(20) Idem, ibidem, p. 370.

(21) Vedi Iulia Cosma, Gli echi italiani dell’attività traduttiva e di esegesi dantesca di George Coșbuc (1921-1995), 2018, p. 240, 245.

Bibliografia:

  1. G. Călinescu, G. Coșbuc, in Istoria literaturii române de la origini pînă în prezent, seconda edizione, riveduta e aumentata, edizione e prefazione di Al. Piru, București, Ed. Minerva, 1982, p. 583-590;
  2. Iulia Cosma, Gli echi italiani dell’attività traduttiva e di esegesi dantesca di George Coșbuc (1921-1995), 2018, p. 236-253, in internet: https://www.academia.edu/38999068/Gli_echi_italiani_dellattività_traduttiva_e_di_esegesi_dantesca_di_George_Coșbuc_1921_1995_ (consultato il 27 ott. 2021);
  3. Dante Alighieri, Divina Comedie. Infernul, Purgatoriul, Paradisul, traduzione di George Coşbuc, edizione curata e commentata da Ramiro Ortiz, Iaşi, Ed. Polirom, 2000;
  4. Laszlo Alexandru, Coșbuc și Dante, in A revedea stelele. Contribuții la studiul operei lui Dante, seconda edizione aumentata, Cluj, Ed. Ecou Transilvan, 2018, p. 11-21;
  5. Laszlo Alexandru, Dante în viziunea lui George Coșbuc, in A revedea stelele. Contribuții la studiul operei lui Dante, ed. cit., p. 22-40.
  6. Nicolae Manolescu, George Coșbuc, in Istoria critică a literaturii române. 5 secole de literatură, seconda edizione riveduta, Bucarest, Ed. Cartea Românească, 2019, p. 484-489;
  7. Adriana Mitescu, Dante in Romania, in Dalla bibliografia alla storiografia. La critica dantesca nel mondo dal 1965 al 1990, a cura di Enzo Esposito, Ravenna, Longo Editore, 1995;
  8. Titus Pârvulescu & Dumitru D. Panaitescu, Dante în România, in Studii despre Dante, Bucarest, Editura pentru Literatură Universală, 1965, p. 345-422.

(Intervento alla conferenza “Nouvellement traduit”. Les oeuvres de Dante en traduction au fil de l’histoire. Journées d’études internationales, Université libre de Bruxelles, 18 novembre 2021)

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